La deportazione politica colpisce le persone attive nella lotta contro gli occupanti tedeschi: antifascisti, partigiani, scioperanti, fiancheggiatori della resistenza. Cadono inoltre nella rete dei rastrellamenti anche uomini e donne impegnati nella “resistenza civile”: cittadini e sacerdoti sospettati di aiutare ebrei e partigiani, ostaggi prelevati tra familiari di chi si è unito alla resistenza. La deportazione politica rappresenta un rischio per tutta la popolazione. I deportati politici superstiti dai campi di concentramento sono soltanto il 10%.
I deportati politici vengono rinchiusi nelle carceri della Rocca e poi a Bologna nelle prigioni di San Giovanni in Monte; trasferiti nei campi di smistamento (Fossoli e Bolzano) sono trasportati nei lager oltralpe, come Mauthausen, Dachau (1), Ravensbrück.
L’azione repressiva nazifascista, già pressante nell’estate del 1944, si acuisce in modo drammatico in autunno. Dopo i rastrellamenti del 9 e del 14 ottobre a Sesto Imolese e in città, le truppe tedesche vanno alla caccia di partigiani del Sap Montano e perquisiscono le casa nelle zone di Ghiandolino, Pediano, Toranello, rastrellando oltre 300 persone: cinque vengono fucilate a Limisano di Riolo e alcuni partigiani vengono deportati in Germania.
In novembre altri arresti assestano un duro colpo all’organizzazione della resistenza e alla rete della stampa clandestina. Vengono catturati infatti Walter Tampieri, tipografo del giornale antifascista “La comune”, Vero Vannini, che custodisce il ciclostile per la stampa dei fogli clandestini, e Virginia Manaresi, staffetta e dattilografa. Con loro arrestano anche Augusto e Franco Dall’Osso, Antonio Morini, Sante Noferini, Cleo Ricchi e Vittoriano Zaccherini (2, 3), appartenenti al Sap Montano. Vengono tutti deportati. La metà di loro non fa ritorno.
In totale sono 27 i deportati nei campi di concentramento nazisti, tre donne e 24 uomini. 16 sono deceduti nei campi. L’età media è di 26 anni.