Da venerdì 22 dicembre sarà possibile visitare nella sala del Cidra, in via F.lli Bandiera, 23 ad Imola la mostra “La 36aBrigata Garibaldi Bianconcini”, fino a giovedì 19 gennaio 2017. Gli orari di apertura sono il martedì, giovedì, sabato, dalle 9 alle 12.30; il martedì e il giovedì dalle 14 alle 16. La mostra è stata curata dal Cidra in collaborazione con l’Anpi e con il contributo della Regione Emilia-Romagna.
E’ ormai da tempo che non si focalizzava l’attenzione sulla lotta di liberazione nelle montagne del nostro territorio e della resistenza combattuta in generale e questo per una serie di motivi: l’attenzione che questo tema ha avuto nel passato è stata spesso accompagnata da una narrazione non priva di enfasi, più o meno accentuata a seconda del contesto politico in cui ci si trovava; la difficoltà nell’immaginario colletivo a riconoscersi tout court in quell’esperienza; la riscoperta di altre narrazioni come quella degli Internati Militari Italiani, del II Corpo d’Armata Polacco e degli eserciti liberatori a lungo sottovalutate.
Nell’ultimo periodo la resistenza è stata ricordata più per i suoi residui negativi nell’immediato dopoguerra, con le note rese dei conti verso i fascisti, che hanno lasciato scorie ancora mal assorbite, che per il suo reale contributo alla liberazione del Paese e alla stesura della Carta Costituzionale. A mio avviso, i crimini vanno perseguiti, caso per caso, e questo non è il ruolo dello storico o di chi vuole impegnarsi nel raccontare le vicende di quegli anni. C’è qualcuno che ancora realmente pensa che una guerra civile combattuta tra compagni di scuola, vicini di casa, fratelli e sorelle, si possa concludere con una stretta di mano perché ne è stata sancita diplomaticamente la fine? E’ necessario uno sforzo di immedesimazione e di conoscenza del contesto storico per trarne una valutazione più verosimilmente oggettiva e basata sulle fonti. La lotta di liberazione è stata prima di tutto una lotta patriottica, per sconfiggere l’occupante tedesco, una guerra civile come ho spiegato brevemente sopra e una lotta di classe nei confronti di coloro che esercitavano il potere politico ed economico e che avevano da sempre appoggiato il regime fascista. C’era forte l’obiettivo di una palingenesi sociale, di creare nelle istituzioni e nelle comunità una radicale rottura con il passato; e se questo si è verificato in parte con la Costituzione repubblicana – anch’essa per anni in tante sue parti non applicata – non è accaduto altrettanto per quanto riguarda l’apparato burocratico e statale che ha segnato una netta continuità. Per non parlare delle mancate epurazioni e dell’amnistia di Togliatti che ha rimesso in libertà la maggior parte dei militanti della Repubblica Sociale. Se facciamo la storia basandoci sui numeri ne risulta una tesi completamente distorta rispetto a quella che si ottiene incrociando le diverse fonti a disposizione, dalle testimonianze orali, ai documenti d’archivio. Il giudizio sugli Alleati e, nel nostro caso sui polacchi, non è inficiato dalle morti civili avvenute per i bombardamenti o dai ripetuti reati commessi dagli eserciti liberatori nei mesi in cui rimasero nelle nostre zone con, per giunta, la responsabilità di garantirne l’ordine.
E così deve valere anche per il movimento partigiano, nato nelle nostre città dall’unione tra l’esperienza di alcuni antifascisti con alle spalle anni di confino e di carcere e l’attivismo e la freschezza di giovanissimi renitenti o disertori alla leva nazifascista. Tra mille difficoltà di ordine logistico e dall’inesperienza al combattimento dei primi tempi, i partigiani hanno occupato un proprio ruolo, riconosciuto dalle popolazioni montanare, dagli Alleati e dall’esercito tedesco che, nonostante avesse una superiorità enorme negli armamenti, ne temeva le azioni di guerriglia. Oltre alle epiche battaglie come quelle di Cà di Guzzo, Monte Battaglia, Purocielo, i partigiani sono riusciti nell’intento di ridare speranza ad un popolo sull’orlo del collasso, materiale e psicologico. L’azione militare si è ben presto trasformata in un’etica del lavoro che ha permesso la ricostruzione delle nostre città in tempi rapidissimi. E salvo sporadici casi, gli uomini della resistenza, hanno aiutato le masse ad avvicinarsi alle istituzioni ed alla vita democratica, sconosciuta ai più. Questa mostra vuole rendere omaggio non ad eroi, ma a uomini e donne che hanno messo in gioco la propria vita per un futuro migliore. Marco Orazi