Il reclutamento forzato della manodopera italiana da parte dell’esercito tedesco con la complicità dei fascisti comincia dopo l’8 settembre 1943 con lo scopo di sostituire i lavoratori tedeschi reclutati per le forze armate. La deportazione di civili si inasprisce nel luglio 1944, quando il comando supremo della Wehrmacht emana l’ordine di rastrellamento dell’intera popolazione maschile adulta, non più in età di leva, residente sull’Appennino tosco-emiliano per essere impiegata in Italia o nel territorio del Reich. Le operazioni di rastrellamento hanno anche lo scopo di indebolire eventuali protezioni e appoggi dati dagli abitanti del territorio ai partigiani.
210 sono i lavoratori rastrellati nel territorio imolese, di cui due sole donne, deportati nei campi di lavoro o nelle fabbriche della Germania nazista. 14 sono le vittime.
Tra i numerosi casi di invio coatto in Germania a seguito di rastrellamenti alcuni vedono il coinvolgimento di decine di persone: