L’antisemitismo e la volontà di annientare gli ebrei sono parti integranti del nazismo. Dal 1939 Hitler parla di “annientamento della razza ebraica in tutta l’Europa” e la “soluzione finale”, cioè l’eliminazione fisica, viene pianificata nella conferenza di Wannsee del 1942. Dal 1940 tuttavia gli ebrei rimasti nelle nazioni e nelle aree geografiche sotto il controllo tedesco sono compresi nel piano di sterminio. Il sistema di assassinio è organizzato in modo da risultare efficace ed economico. I deportati giungono ai campi trasportati da treni; le modalità di uccisione variano dalla fucilazione di massa all’utilizzo delle camere a gas. I corpi vengono gettati in fosse comuni o distrutti tramite cremazione.
A Imola risiede una sola famiglia di origine ebraica, quella dei Fiorentino. Altri sono profughi scappati dalle proprie città a causa della persecuzione (1). Trovano ospitalità e rifugio presso famiglie imolesi e vivono nascosti o sotto falsa identità. Nessuno viene deportato nei campi di sterminio grazie all’aiuto dei “giusti” di ogni fede.
L’imolese Amedeo Ruggi, allora militare, aiuta Grazia Fiorentino e i genitori a fuggire in Svizzera nel gennaio 1944.
Paolo Santarcangeli (2), ebreo di Fiume, viene nascosto e protetto con la madre tra le mura della chiesa del Carmine da don Giulio Minardi (3).
Edmondo Carlo Bizzi, la moglie Nerina, le figlie Bianca e Laura salvano la famiglia di Pio Padovani di Bologna. Israele nel 2004 ha riconosciuto ai Bizzi il titolo di “Giusti tra le nazioni”, assegnato ai non ebrei che salvano la vita degli ebrei durante la Shoah.
Ezio Bolaffi, professore di latino all’Università di Bologna, cacciato dall’insegnamento a seguito delle leggi razziali del 1938, si rifugia con la moglie, Pia Bassani, a Imola in un’abitazione in via Digione. Sono protetti dai vicini di casa e da antifascisti come Giuseppe Maiolani, socialista e membro del Cnl, che procura loro documenti d’identità falsi.