Alla fine della guerra di Spagna il legame tra Italia fascista e Germania nazista diviene un’alleanza sancita dal cosiddetto “patto d’acciaio”. In questo quadro si colloca la svolta razzista sostenuta dall’opinione di intellettuali e politici, concretizzata nelle leggi razziali. In esse si saldano due razzismi: verso le persone di colore, “sudditi” delle colonie, e verso i cittadini italiani di cultura ebraica, abbracciando l’antisemitismo nazista. Dall’autunno 1938 agli italiani classificati di “razza ebraica” sono interdette numerose attività: prestare servizio militare, essere proprietari di aziende, essere proprietari di terreni e di fabbricati, avere domestici “ariani”. Gli ebrei vengono licenziati dalle amministrazioni militari e civili, dagli enti e dalle scuole pubbliche, dalle banche e dalle assicurazioni. I ragazzi ebrei non possono più essere accolti nelle scuole statali (1, 2).
L’Istituto nazionale di cultura fascista di Imola si impegna a promuovere razzismo e antisemitismo. Per il 1938-39, accanto a concerti e conferenze su teatro, cinema, radio, si tengono lezioni sulla “razza” e corsi di “politica razzistica”.
In città non c’è una nutrita presenza ebraica, ma casi di persecuzione si verificano anche qui. Fin dall’anno scolastico 1938-39 a una bambina di otto anni, Grazia Fiorentino, figlia di genitori entrambi ebrei, è vietato di frequentare la scuola pubblica (3). La madre viene espulsa dal consiglio della Biblioteca circolante “A. Ponti” (4).
Gli ebrei imolesi, come tutti gli italiani, devono dichiarare all’anagrafe la loro appartenenza alla “razza” discriminata (5). Su tali dichiarazioni si basano rastrellamenti e deportazioni negli anni dell’occupazione tedesca e della Repubblica sociale (1943-1945).