Dopo l’8 settembre 1943, in seguito alla proclamazione dell’armistizio del governo Badoglio con gli alleati, Hitler promette un “castigo esemplare” agli italiani, rei di essere venuti meno al patto di alleanza. L’esercito tedesco cattura 700.000 soldati italiani in patria e sui fronti di guerra all’estero che vengono portati in campi di lavoro.
Nell’estate del 1944 agli internati militari italiani (Imi) viene cambiato lo status in “liberi lavoratori”: da “schiavi militari” a “lavoratori coatti”.
Drammatica è la situazione nei Balcani dove intere divisioni resistono in armi per alcuni giorni ai tedeschi. Oltre 20.000 sono i caduti, centinaia gli ufficiali fucilati dopo la cattura. La resistenza accanita di Corfù e Cefalonia si conclude con il massacro di oltre 5.000 militari da parte della Wehrmacht.
Oltre 1.200 sono i militari del circondario imolese catturati e deportati in Germania dai tedeschi, di essi 119 non fanno più ritorno.
Dopo lunghi e snervanti viaggi in treno senza poter uscire dai vagoni piombati (1), l’arrivo nei campi è drammatico: vivono stipati in baracche di legno, umide e scarsamente illuminate, nelle quali d’inverno si gela e d’estate si soffoca dal caldo. Non ci sono norme igieniche e, se ci si ammala, spesso è in gioco la vita.
Con la primavera del 1944 arrivano le prime cartoline da casa vistate dalla censura che copre le osservazioni non gradite con inchiostro nero (2) e i primi pacchi di generi alimentari inviati dalle famiglie attraverso la Croce Rossa (3).
Più tragico il destino degli ufficiali dell’esercito in Grecia. Dopo l’8 settembre 1943 e il cambiamento di fronte da parte del nostro Paese, Coo (Kos), isola del Dodecaneso italiano, viene occupata dai tedeschi che il 4 ottobre hanno ragione della resistenza italiana: il tenente Camillo Cacciari, studente imolese, viene fucilato per essersi coraggiosamente rifiutato di aderire all’esercito nazifascista (4).